MARIO MORIGI (Cesena 1904-1978) nel primo centenario della nascita
presso Galleria Comunale d'Arte Pinacoteca Comunale 27 marzo - 2 maggio 2004
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Mario Morigi: per una “rivisitazione” (testo di Orlando Piraccini)
Con l’odierna presentazione di un “ultimo Morigi” si compie un nuovo importante passo per la riscoperta dell’artista cesenate.
Riteniamo, infatti, che proprio nella fase terminale Morigi manifesti compiutamente i valori fondativi della sua opera come pittore: nel segno certo di una continuità d’opera rispetto alle precedenti esperienze condotte in oltre mezzo secolo di lavoro, ma rivelando anche una parte di sè rimasta inespressa o come celata, ovvero una tensione rappresentativa della realtà trasfigurata in chiave immaginifica e fantastica.
Ci vorrà del tempo per approfondire quest’ “ultimo Morigi” così complesso, ma di sicuro esso ci appare oggi ben distante da quel Morigi “pittore dei pagliai” largamente preferito dal pubblico e dagli intenditori cesenati.
E’ forse proprio da questa caratterizzazione stracittadina, con lo stereotipo del “romagnolo autentico” che gli stato “cucito addosso” nel periodo culminante della sua operosità artistica, cioè negli anni dell’immediato dopoguerra, che Morigi “sente” progressivamente, anche se già tardivamente, di doversi distaccare; di dover cercare “altro”, oltre la buona pittura tanto richiesta dai suoi concittadini e per altro invisa ai pittori della sua stessa città, di lui più giovani ed in cerca di nuovi orizzonti espressivi.
I primi segni di un dinamismo creativo tutto interiore e di “fughe” nell’irreale si manifestano già nei primi anni sessanta allorché Morigi inizia a trasferire l’intero bagaglio dei propri valori creativi dal mondo della realtà alla dimensione dell’immaginario, fino ad un punto supremo di liberazione della sua sopita tensione inventiva (in pittura) e sovrannaturale (in scultura). Colline, mari, spiagge, fiori, frutti, conchiglie, perfino i pagliai: nei dipinti degli anni settanta il vero si manifesta in visione, in sogno, in riflesso, in idea. Ed è così, vagando alla ricerca d’astrazione, che l’“ultimo Morigi” pittore trascina con sè lo scultore - quello della “Pietà” di Mercato Saraceno, ad esempio - fuor d’ogni retorica altissimo, eccelso “monumento” del celeste e del divino.
Si potrebbe perfino dire che il “vecchio” Morigi, per gli esiti che manifesta in questo riappropriarsi della sua più autentica indole creativa, torna a ricongiungersi con il “giovane” Mario: quello “scapigliato” che le cronache cittadine ricordano di frequente nelle sue spensierate divagazioni tra una frontiera e l’altra dell’arte, ancor lontano il tempo di un “ritorno all’ordine” forse assai più indotto dal tradizionalismo culturale della buona società locale di quanto sinceramente e sentitamente partecipato dallo stesso pittore.
Per questo, ripercorrere oggi il cammino artistico di Mario Morigi, così come si propone in queste pagine, può davvero assumere il significato di una vera e propria “rivisitazione”.
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